I Vampire Weekend hanno trent’anni. Per fortuna! Ne avessero avuti quaranta, o peggio cinquanta, il loro terzo lavoro sarebbe stato un saggio di filosofia al cui confronto Schopenhauer sarebbe sembrato un inguaribile ottimista. Il fatto di averne solo trenta li tiene ancora in equilibrio sul filo possibilista dell’esistenzialismo sartriano. Questo significa che, come capita a tutti, sono diventati grandi, ma rispetto ad altri, lo sono diventati un po’ di più. Sembrano lontane le estati a Cape Code e le chitarrine scanzonate della giovinezza, senza dubbio godibili, ma ancora lontane dal diventare manifesto di una generazione. la generazione di cui oggi sono rappresentanti è una generazione di vampiri. Ragazzi e ragazze aggrappati alle certezze e alla bellezza del passato, per affrontare, con onestà intellettuale, la difficile vita nell’America degli anni duemila. O duemiladieci. Ma ne parliamo dopo.
Prima parliamo di Ezra.
Con quella voce e quel fraseggio puo’ incantare chiunque. Dire qualunque cosa, persino fingere di dire parole con un senso e nessuno se ne accorgerebbe. Sembra comunque che stia cantando la canzone famosa di Tutti Insieme Appassionatamente. E infatti ci fa venire voglia di correre a braccia aperte lungo vallate verdi. Ezra uguale felicità.
Ora parliamo di Rostam.
A volte lui è al piano e compone. Poi manda tutto a Ezra e quello ci scrive una canzone. Altre volte Ezra gli manda un testo e lui si inventa una melodia. In qualunque modo faccia a scrivere quelle canzoni, lo fa bene. Lo fa bene e tutti lo sanno. In questo disco più che negli altri. E’ troppo rischioso diventare mainstream, lui lo sa ben:, si rischia di non piacere più agli snob che fino a ieri si credevano molto fighi perchè ascoltavano i Vampire Weekend invece che Rihanna. Ecco perchè un disco “maindiestram” era proprio la soluzione giusta. Essere “Pop”, popular, piacere a tutti , non è da tutti. Lo si puo’ fare se si resta davvero se stessi, senza vergognarsi di seguire le orme di chi su quella stessa strada ci è già passato. E allora ecco i Beatles, Paul Simon, ma anche Mozart. Marcette, ballate, riff rock’n’roll. C’è l’America intera nella musica di questo disco qui, anche quello che di americano aveva solo l’intenzione, come nelle canzoni di Lennon.
Infine le canzoni, le parole, il sentire. E’ un sentire dolceamaro. Come di perdita. Sin dall’inizio. Sono vampiri moderni quelli che si accorgono di non poter perdere tempo, che il giorno sta per arrivare. Il “carpe diem” dell’iniziale Obvious Bicycle, lascia subito spazio ad una specie di rassegnazione del miscredente in Unbelievers, che però viene raccontata con un ritmo incalzante e quasi di approvazione. La dolcezza di Step non tradisce l’intendo del disco, anzi la chiarisce con la frase “La saggezza è un dono ma la scambieresti volentieri con la giovinezza”. Come se l’amore fosse una cosa da incoscienti. Per poi sottolineare con Diane Young che invece è guardare al passato di continuo la vera incoscienza. E per dirlo meglio, i vampiri usano le sonorità che hanno fatto grande la musica americana. Questo è un disco che non mente, e chiede di non mentire. Lo fa in Don’t Lie e in buona misura anche nella struggente Hanna Hunt. ecco l’ispirazione classica di cui ha lungamente parlato Rostam, presentando questo disco alla stampa, in Everlasting Arms e in Finger Back, per poi arrivare ai Beatles di Worship You. C’è spazio per un barlume di speranza, nella, forse illusione, di una qualunque religione con Ya Hey, che sta per Yahweh”, il nome del dio ebraico, ma anche “io sono quelle che sono”. La storia di Hudson, è un insegnamento, prima della riflessione finale, che chiude il disco e lascia finalmente respirare : Prenditi il tuo tempo, giovane leone.
Si sono presi il loro tempo i Vampire Weekend. Cinque anni in tutto. Ma ne è valsa la pena.
Un disco bellissimo, anche troppo per questo 2013, amaro e crudo, che ci vorrebbe più ventenni e meno adulti.