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Il metodo Duckworth-Lewis è un complesso algoritmo che viene utilizzato per arrivare alla corretta formulazione del punteggio, quando una partita di Cricket viene interrotta per maltempo. Sticky Wickets è una metafora in cui il terreno impraticabile del cricket, a causa della pioggia, viene paragonato alle più disparate circostanze difficili nella vita.
Questo è tutto. Il disco è bellissimo. Compratelo.
Scherzavo.
Loro invece, Neil Hannon dei Divine Comedy e Thomas Walsh dei Pugwash, non scherzano affatto. Anche se il dubbio ci era venuto sin dal loro esordio come superband, quattro anni or sono. L’intenzione era quella di una band che parlasse di cricket. Sì, embe’? Nulla in contrario? No, no per carità. Se non fosse per il fatto che di Cricket ne sanno in pochi e quei pochi sono tutti britannici. Poco male – risponderebbero loro – anche di Pop ne sanno in pochi, e sono sempre tutti britannici. Per questo hanno deciso, anticipando di una spanna l’ipotesi di tornare con un secondo capitolo dopo vent’anni, di dedicare un’altro grande lavoro al britpop. Anche al Cricket, certo. Poi, nell’ordine: ai Beatles, ai Monthy Piton, ai Beach Boys, agli ELO e quindi a Jeff Lynne (che probabilmente si è strappato tutti i capelli per la disperazione di non averlo prodotto lui), ai Kinks, agli Stones, il tutto suonato da Frank Zappa e ironicamente dedicato a Brian Eno. Un capolavoro di follia. Il disco inizia con Get Back.
L’ho fatto di nuovo: scherzavo.
La titletrack Sticky Wickets è ’70, psicadelica, disco, Elo, glam rock. E’ una dichiarazione d’intenti insomma. E’ Get Back, quindi, ma questo l’avevo già detto. Boom Boom Afridi è il primo coro da stadio e siamo già tutti felici. All you need is love, love, love. Ma sopratutto Hey there Mr. Blue We’re so pleased to be with you. Io non sono mai andata a una partita di Cricket, ma se i cori e le atmosfere sono queste, mi trasferisco nel Surrey e imparo a lanciare. E’ un disco molto , molto, molto felice. Is not just cricket, dice la terza canzone dell’album: te l’ho detto, non è solo cricket, è molto di più. Ci sono i cori, le orchestrazioni intellettuali e le chitarrine scanzonate che convivono pacificamente. E se il baseball è un po’ la risposta americana al britannico cricket, The Umpire, la quarta traccia, è la risposta dei Duckworth Lewis Method a quello che Brian Wilson avrebbe detto ai Beatles, a proposito del cricket giocato in spiaggia, in California. In Third Man c’è persino Harry Potter, proprio lui, ed è forse per questo che suona così gradevolemente pop. Harry, si sa, piace a tutti. Intermezzo musicale con Chin Music, e si ritorna a giocare, una volta scongiurato il pericolo pioggia. Tutti un po’ più rilassati con Out in The MIddle, si riparte con un po’ di anni ottanta, quelli delle ballad però, non dei synth. Chi ha detto ottanta? Chi ha detto Synth? Eccoli: Line and Lenght. Ah, dimenticavamo i Monty Python. Eccoli, in uno sketch di cavalieri sorridenti, The Laughing Cavaliers. Arriva poi il capolavoro: Judd’s Paradox. Con Mistery Man, che sarebbe stata la preferita di Paul McCartney, si chiude signori, prima del gran finale , in cui i Monty Python richiamano in scena tutti per uno scioglilingua di saluto. E tutti insieme, loro e una serie infinita di guest , a saltare con le dita nel panciotto, gambe alte a mo’ di can-can e via, si va. Dove? Direttamente nei primi posti della classifica dei dischi migliori dell’anno. E ci si va ignudi, irrompendo nel campo, come il tizio in copertina, che, essendo ormai un’esperta di cricket, dovrei sapere chi è, come si chiama e in qual partita fece la sua bella figura. Ma sarò onesta : del cricket, dopo questo disco, continuo a non sapere niente. Di rock, pop, britpop, o chiamatelo come volete, ne so dodici belle canzoni di più. Se non è una vittoria questa, allora ditemi cosa.
Barbara Venditti.