Chi conosce i National da poco tempo, cioè da High Violet, ci tiene spesso a sottolineare che li aveva scoperti già da prima, millantando l’ascolto “illo tempore” di Alligator. Otto anni fa. Be’, fosse vero, complimentoni. Perchè qui in Italia di loro non sapeva molto fino a Bloodbuzz Ohio. Per i lettori di Pitchfork, fino a Boxer. Ma chi ci crede? Su. Bloodbuzz Ohio ci lasciò senza fiato. Quelle parole incastrate ad arte, l’incedere ipnotico, i synth, la voce meravigliosa di Berninger. Così siamo andati indietro, li abbiamo conosciuti meglio e abbiamo capito che volevano dire qualcosa e volevano dirla bene. Talmente tanto bene che , piuttosto che fare come altri mille esperimenti in direzioni diverse, hanno scelto di insistere sullo stesso procedimento, su quel sentire vellutato che punta alla canzone perfetta. Minimalisti eppure sontuosi come nuovi dandy. Intimisti e crepuscolari, ma allo stesso tempo ironici e brillanti. Nostalgici, melodici e tuttavia post-punk. In sintesi: l’ossessiva ricerca della canzone perfetta. Questo Trouble Will Find Me, è il quarto capitolo di quell’ossessiva (ma anche senza fretta) ricerca. E quindi non è un esperimento. Sono i National così come li conosciamo: pregni di bellezza ed euforia. Non la loro, l’euforia di chi ascolta e tira un sospiro di sollievo dicendo “Meno male! Qualche certezza c’è rimasta!”. Rischia solo Berninger, ma non nella scrittura, che anzi sembra continuare un discorso con l’ascoltatore, mai interrotto in questi anni, a proposito di ricerche, litigi (con il fratello), delusioni, fallimenti, demoni ed emozioni nei luoghi scuri dell’anima. Rischia salendo di tono in qualche occasione ma, è una digressione pacifica con se stesso, prima di tornare nei panni del crooner più ammaliante che New York abbia da proporre al momento. Quindi, quale è il commento finale che riesce a sintetizzare l’essenza di questo disco? Trouble Will Find me è un bellissimo disco che non ci sorprende affatto. E’ un disco prevedibilmente molto bello. Sin dal primo ascolto del singolo Demons, che ne anticipava l’uscita, avevamo capito quelc eh avremmo avuto in dono. Una canzone che parte cupa e ridondante per poi scivolare nella melodia rassicurante che ci avvolge come miele e ci fa venire quel brivido tra la base del collo e la fine della schiena. Come Graceless, punto massimo arrivato come terzo singolo, e Sea Of Love. Ci sono lenti strappacuore che tradiscono una natura riflessiva e sognante, strizzando l’occhio persino al folk, come in I Need My Girl. Per arrivare a chiarire la natura dicotomica del loro cuore nelle ultime due canzoni, Pink Rabbits, chiaramente ispirata dal voler inseguire quelle correnti nordeuropee legate a synth, smalto nero, e capelli rasati ai lati e Hard To Find, che è invece la ballad lasciva e malinconica che meglio si adatta ad una notte solitaria Newyorchese.
Niente di divertente insomma. E invece no, perchè il miscuglio che ne risulta ha un piacevole rimando pop, che li porterà a suonare ancora per il presidente degli Stati Uniti. Probabilmente anche quando non sarà più Obama.