O forse è sempre stato il contrario. In fondo non l’ha mai nascosto, Richard Hawley, di essere stato salvato da Jarvis Cocker e dai suoi Pulp. Forse è uno dei rari casi nella storia della musica, in cui suonare in una rock band diventa la giusta terapia per sfuggire alla dipendenza da droga e alcol. E sempre loro, Jarvis e Steve, avevano convinto Richard che non doveva per forza continuare a suonare con i Pulp per fare musica , ma che tentare la carriera da solista sarebbe stata una buona idea. Il resto è storia. E la storia vede una degli episodi più recenti, di nuovo i tre insieme. Sabato sera, in occasione del Leeds Festival, Richard suonava la chitarra per i Pulp. Anche chi non ama le reunion, avrà stretto il cuore il suo orsacchiotto di peluche, sospirando con gli occhi lucidi. Io l’ho fatto, e detesto le reunion. Ma quella di Richard è una storia che mi commuove ogni volta che metto su uno dei suoi bellissimi dischi. Anche l’ultimo, Truelove’s Gutter, non mi è dispiaciuto affatto, anche se, pur restando lento, romantico, melenso, caldo, denso e nostalgico come piace a me, di tanto in tanto viene da dire “Ucci Ucci sento odor di Turnerucci”. Che Alex Turner ci abbia messo lo zampino, almeno nell’ispirazione agli Arctic Monkeys, vista la recente collaborazione, non c’è nulla di strano. Così come non è stato strano trovare in forma sia lui che i Pulp. E neanche che Jarvis abbia voluto dedicare il loro ritorno a Reading dopo nove anni, ai “rivoltosi dell’inghilterra”, giustificandoli per aver voluto tentare la strada di un “videogame realistico”. Ma lui è Jarvis Cocker, non è uno che usa metafore nuove, è lui stesso una metafora. Quando mi sento triste, vado sul suo sito e resto un quarto d’ora a guardare l’header-video, in cui c’è lui che si legge un libro, poi si mette ad ascoltare le news da una radio portatile, poi si siede in terra . Funziona, fatelo anche voi. Nel tentare di entrare per 15 minuti nella sua testa, ho sempre delle idee straordinarie. Lo nascondo bene, ma ne ho. Rock’n’roll.
Barbara Venditti