Sarà l’età, ma questo disco ci piace. L’età di mezzo intendo dire,quella che ti costringe a rimpiangere gli anni ’60 anche se non li hai mai vissuti, anzi forse proprio per quello. L’età che ti fa detestare i giovinetti multimediali degli anni duemila che, alle prove,della band di quartiere non ci sono mai andati. L’età in cui per quelli che hanno vissuto i sessanta “non sai nulla della vita” e per quelli che non hanno vissuto neanche i novanta quasi, sei già un povero vecchio. Così noi, come questo disco, stiamo giusto nel mezzo. Da un lato il surf sognato della California, i Doors, i Love, le Go-Go Girls a Sunset Boulevard, dall’altro gli iPad e la musica elettronica. O peggio i cantatutori da talent show italiano. Con le spalle voltate a questi ultimi e i fori per gli occhi della maschera de Il Santo, completamente coperti, balliamo, cantiamo, e shakeriamo tutto d’un fiato un disco che non ha pretese. Non insegna, non pontifica, non fa esclamare al miracolo, ma è una di quelle due tre cose indispensabili per superare questa crisi di mezza età. Non la nostra, di crisi di mezz’età, ma del mondo. Gli Hooded Fang sono dei missionari fondamentalmente. Al loro secondo disco, dopo un Ep del 2010, intitolato “Album” (pretenziosi), sono in missione per conto della felicità. Dura solo 23 minuti. Ma la cosa positiva dei dispositivi multimediali è che puoi suonare la felicità in loop, senza chiedere alla groupie di turno se va a girare il disco. Godetevelo.