Non mi piace iniziare con una domanda, ma stavolta è utile, poichè se la riposta a questa non sarà sì, potete benissimo evitarvi la lettura di queste poche righe sull’ultimo lavoro del duo di Melbourne Gypsy and the Cat. Bene: vi era piaciuto Gilgamesh, il primo degli stessi Gypsy and The Cat? Time to Wander, Jova Vark, the Piper’s Song… ricordate? Un Londra impazzita al debutto e poi qualche buon airplay nelle radio australiane. Vi era piaciuto, bene. Quindi questo vi piacerà di più. Eh sì, perchè a differenza della litania consueta che recita “Il secondo album è sempre il più difficile”, queste giovani band pop, indie, dream pop, ispirate alle atmosfere shoegaze con accenti sixties e allo stesso tempo inequivocabilmente eighties, dopo aver riempito le fanzine indiepop del genere “ascolto band che ancora non esistono” , diventano improvvisamente famose, al secondo o terzo lavoro con un singolone da classifica. Ed è una gioia. Almeno lo è per chi ha come unico obiettivo quello di un ascolto piacevole e di qualità, indipendentemente dal fatto che arrivi dalla radio nel supermercato o dalla soffitta polverosa dell’amico nerd. Riempiamo le classifiche di: Young The Giant, Of Monsters and Men, Electric Guest e smettiamola di dare la colpa al mercato se la buona musica non trova il suo spazio! E’ colpa degli snob che la vogliono fuori dalla portata di tutti ad ogni costo. Finito il pippone sullo snobismo degli indie-maniaci, passiamo al disco. E’ piacevolissimo, divertente, sognante in molti punti. Il dream pop non lo abbandonano neanche loro, visto ormai pare essere un tratto distintivo degli anni ’10 (iniziamo a chiamarli con il loro nome sti anni, no?) e questo è evidente più in tracce come Valleys of Kashmir e Soul Kiss che in tutto il disco che è in effetti Pop. L’apertura affidata a Only in December, conquista. E’ come se ci dicesse: siediti, ascolta qua e batti col piede se ti va, se poi vuoi ballartelo buon per te. Poi, di certo Bloom piacerà ai nostalgici dei Cure di Disintegration, anche se il paragone è azzardato (ma funzionale), e qualcuno storcerà un po’ il naso sulla banalità della batteria in Zombie World. D’altra parte cosa c’è di più banale degli Zombies in questo periodo? Piace il singolo, Sorry e nessuno si sorprenderà di vederlo in classifica quanto prima, anche se è la title track quella che li lancerà nell’olimpo del Pop. Posso stare a girarci intorno per mezz’ora, ma è in definitiva un disco perfettamente rappresentato dall’immagine di copertina: la giusta miscelazione cromatica ad attirare l’attenzione e l’equilibrio tra gradevolezza e gridolini. Mai intellettuale come un disco di The Shins, ma sufficiente a far demordere al primo ascolto i fan dei Maroon5. Questi Maroon5, perchè quelli di Songs About Jane erano più o meno come i Gypsy and The Cat oggi. Auguriamo ad entrambi un futuro radioso.
Tracklist
01 – Only in December
02 – Bloom
03 – Broken Kites
04 – The Late Blue
05 – It’s A Fine Line
06 – Sorry
07 – Valleys Of Kashmir
08 – Soul Kiss
09 – Zombie World
10 – When Micky Came In
Barbara Venditti