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It’s Not My Fault, I’M Happy. Non è colpa mia, oh, sono felice, che vuoi farci? Scusami se il mondo va a rotoli, se c’è poco da stare allegri. La crisi, i governi fantocci, le disparità sociali, la mancanza di sostanza nelle produzioni artistiche, il trionfo della forma sul contenuto, insomma, lo so, ma io voglio starmene qui a guardare il cielo. Ecco, scusa. E’ il secondo disco in cui gli americani Passion Pit tentano di far contenti tutti. Addetti ai lavori, critica, maniaci dell’indie e maniaci dello zapping radiofonico. “Uh bella, questa! Cos’è? Lascia lascia che mi piace il ritornello.” Cosa c’è di male ad essere pop, in fondo? Se poi si riesce a trovare il giusto equilibrio tra il ritmo frenetico delle sonorità elettroniche, strizzando l’occhio alla dance; la melodia avvolgente di una canzone da classifica che parla d’amore, facendo ciao ciao con la manina ai maniaci della tristezza low-fi; i colori pastello e “instagram” tipici dell’indie americano degli ultimi due anni, muovendo la testolina per piacere pure alle ragazze; insomma se si trova il buon gusto nel gusto moderno, che male c’è? Gossamer è una buona prova del quintetto americano, la giusta continuazione di Manners, quel sapore anni ’80, perfettamente inserito a condire un duemila in cui le citazioni non sono citazioni, sono effettivamente parti di un tutto. Quel che ne esce è qualcosa di nuovo direbbe qualcuno. Meno male, credevamo fosse il solito pastrocchio, invece funziona.