Jim Morrison era la Superstar preferita di Andy Warhol. Nessuno prima d’allora aveva mai pensato al’uso di un rafforzativo per qualcosa di già brillante come una stella. Superstar. Andy aveva le sue Superstar collezionate in un pacchetto scintillante e Jim ne era rappresentazione, rappresentante e sunto. Nel tempo qualcuno avrebbe poi osato dire che quel quarto d’ora di celebrità, abbondantemente superato da Morrison, gli fu causa di perdita di identità. L’identità di un poeta, silenzioso in pubblico, mai avaro di parole con sè stesso. I poeti parlano molto con loro stessi, senza riuscire ad evitare che gli altri ficchino poi il naso in quelle intime conversazioni. Anche da poeta Jim sarebbe stato una Superstar. Per chi non ha mai prestato troppo attenzione ad alcune rime nelle canzoni dei Doors, è sempre una scoperta leggere le liriche come si trattasse di un racconto e sorprendersi di quanta musicalità ci sia nelle parole. Unico strumento in accompagno al suono scarno delle sillabe, il corpo. L’espressione, la pausa, il movimento. Superstar sul palco davanti a parole condite di teatro. E ogni spettatore degno di quest’appellativo (perchè la sua intenzione è di non interferire con lo spettro) avverte poco dopo l’inizio della performance un disagio fastidioso causato dalla percezione di essere di troppo. Fiona Apple è una Superstar. I suoi versi brillano immobili quando intorno non c’è musica e il suo corpo le spiega una ad una, mettendo in evidenza le cicatrici e mostrandoci un mondo in cui ci sentiamo invasori, già al primo verso. Le sole parole fanno eco, ridondanti e dolci, dure, cattive e severe. Tristi eppure così morbide di sussurri e sibili da farci su un canto di Natale. L’abilità o il talento, o soltanto l’esperienza disarmante del dolore. Cosa porta a vincere la resistenza del muro alzato a difesa del sè, attraverso versi aperti alla comprensione? L’abilità le viene dall’aver vissuto nell’arte di una famiglia di attori, ballerini e cantanti. Forse è da lì che quell’accento tanto brechtiano arriva a contaminare tutte le canzoni di questo nuovo disco. Poi ci sono le esperienze traumatiche adolescenziali, tristemente note e il talento di una voce che riesce ad essere melodiosa, arrabbiata, acuta e tonda, morbida se serve, perfetta. Il titolo ermetico asserisce che un bullone è più saggio di un cacciavite e un cavo vi sarà sempre più utile di quanto una corda mai potrà. The Idler Wheel Is Wiser Than The Driver of The Screw And Whipping Cords Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do. Argomento interessante. Non è ben chiaro in che modo questo concetto venga estrinsecato nel disco, ma è molto molto chiaro tutto il resto di quel che Fiona voleva dire con queste bellissime undici canzoni. Every Single Ninght è un ‘ottimo punto di partenza. “Ogni singola notte è una guerra tra me e la mia mente. Io voglio sentire ogni cosa e il mio cuore è fatto di tutto ciò che è intorno a me”. Ma ci sono troppe domande e tante farfalle. Così anche le cose più semplici finiscono per essere complesse come nei sogni. “Sono un Daredevil” , dice lei, “Una temeraria. Non sento nulla finchè non mi schianto” E di quello schianto, così sofferto, ma anche così amato, noi viviamo ogni singolo istante nei suoi versi. Nel dolore di un Valentine mai consegnato, perchpè lui quella sera era con un’altra. Nel ricordo di quel suo Jonathan che le aveva fatto dimenticare il mondo e che nei ricordi riesce a ncora a farlo. Nella rabbia dei rimpianti, regret, perchè si diventa cattivi a discapito di sè stessi. Il tempo dei baci e dei coltelli, della rabbia, del rancore, del lamento, del pianto. Lui è “super” e lei solo una ragazza fragile. Ma è una bugia. E’ lei la Superstar. Perchè scruta più giù, più in fondo, fino alla verità, rassegnata ma non disperata nello scoprire che “non c’è nulla di male in ua storia che si chiude con un accordo in chiave minore”. E se in quest’intensa lettura dei testi, ancora nessuna musicalità che non sia nelle parole, ha contribuito al concerto nelle vostre teste, aspettate di sentire cosa succederà quando il cuore incontrerà le note del pianoforte, per quel jazz che sta tanto stretto nella definizione di jazz (che forse non esiste in realtà) e quelle percussioni, che hanno sapore d’africa, di terra, di primitivo. Sapore di Charley Drayton per chiamarle con nome e cognome. Un nome e cognome che significano tanti strumenti, in effetti.
Il sapore che resta attaccato al palato è buono ma non abbastanza da non richiederne un secondo assaggio. E in quel secondo assaggio resta incisa nella mente, tra le farfalle e in accordo con il cuore, quell’unica frase di resa che rende tutto, anche il titolo forse, chiaro come la luce del mattino: How can I ask anyone to love me when all I do is beg to be left alone? Come posso chiedere a qualcuno di amarmi se tutto quello che voglio è di essere lasciata sola?
Ce l’hai appena chiesto, vien da risponderle, e noi, infatti, ti amiamo molto.
Best 2012 #1
Voto 10/10