Ne primi anni ’60 non si usava mica far uscire un album se non eri ancora famoso. Non che ai produttori e i discografici mancasse la voglia di rischiare sul giovane talento, una volta scovato. Ma perchè avrebbero dovuto fare un po’ di soldi se avrebbero potuti farne molti di più? Così l’album usciva solo quando e se , dopo aver venduto parecchie copie di ciascun singolo, si voleva vendere qualcosa anche a chi quelle canzoni le aveva potute solo sentire in radio. Nei 70 il concept era necessario: ci si drogava troppo perché i misteri dell’universo potessero essere spiegati semplicemente con una canzone. Poi sono arrivati gli anni 80 e le musicassette compilation. Il tondino del giradischi si perdeva sempre e il mangiadischi Penny era una cosa da bambini. Quindi tanto valeva investire in un video musicale che convincesse gli adolescenti che era il caso di comprare l’album intero per avere la possibilità di fare più compilation diverse, per più ragazze diverse. Negli anni 90 la musica, rock o meno, era una cosa talmente importante che i dischi si compravano sulla fiducia e più canzoni dentro c’erano meglio era, tanto il tasto “skip” non lo avresti dovuto premere mai. Oggi nel favoloso millennio dell’immediatezza, la canzone è in cloud prima ancora che tu possa avere avuto il tempo di desiderarla. “Ciao, siamo una nuova band, ecco una canzone: ti piace? Se sì allora metti un I like su fb o fai un retweet”. Molti retweet dopo, la band unisce tutti quei “like” e li colleziona in un album che tutti già conoscono.
In sintesi: non è stato difficile tornare agli anni 50.
Con la differenza che la durata media di una band nella memoria collettiva è di circa una stagione, prima che nuove band chiedano nuovi “like”.
Non so quanto dureranno i Chvrches e se mai arriveranno al secondo album. Il primo non è ancora uscito e io amo già tutte le loro canzoni. Nessuna esclusa. Arrivano da Glasgow e si sono mesi a fare musica anni 80 nel 2011. Non so cosa facessero prima, ma la prima cosa che hanno pensato di fare è stato convincere i Depeche Mode che gli anni 80 funzionavano ancora. Quindi i Depeche li hanno portati in tour con loro e tutti li hanno applauditi nella loro versione live di I Would Die For You. The Bones Of What You Believe è un disco di synthpop. Se non vi piace il synthpop non compratelo. Poi però quando ascoltandoli in radio direte “Bello ‘sto pezzo! Ma che è un inedito dell’85 di Madonna con gli Erasure?”, non dite che non vi avevo avvertito. L’album uscirà il 23 settembre. Lo potete ascoltare in anteprima QUI, o se preferite, su Spotify potete ascoltare le canzoni separatamente prima che fossero collezionate in un album. Io gli do un voto alto, perchè sono stanca di fare la schizzinosa e snob e poi di ascoltarmi di nascosto i dischi che mi fanno dondolare la testa di qua e di là. Questo dei Chvrches è un buon disco se vi piacciono: i sintetizzatori, le melodie ben piazzate, le sezioni ritmiche euforiche e sì, anche le hit da classifica. Perchè? Che c’è di male nel piacere a tutti? La BBc in tempi non sospetti li aveva indicati, nell’annuale scommessa di gennaio, all’interno delle band “Sound 2013″. Loro, da Glascow, sono l’esempio perfetto del sound dell’America 2013. Perchè infatti sono britannici e si sanno organizzare, anche se l’input arriva loro da oltreoceano. Lo fecero i Beatles con Chuck Berry, non possono farlo i Cvhurches ora nell’era della scomparsa delle barriere geografiche? Sono docdici belle canzoni di electro-pop, qualunque cosa significhi. Ascoltatele e ditemelo voi.
Barbara Venditti per Wasabi Radio.