Roma, 3 ottobre 2011.Un’ode all’emozione, anzi alle emozioni. Le tante diverse che la musica può suscitare. Amore, ispirazione, rabbia, dolore, gioia, adorazione, una qualunque parola possa essere abbinata ad un modo di sentire è possibile descrizione delle tante reazioni diffuse nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Roma, ieri sera tra le ventuno e trenta e le ventitrè. Un tempo troppo breve per approfondire anche solo più di una, di tutte quelle emozioni. Così, probabilmente, ciascuno ha scelto la propria, quella che in quel momento le stava meglio addosso. E chissà forse, già dall’ansia adorante comunicata in lingue diverse, a causa dei pellegrinaggi da molte città europee verso Roma, si poteva intuire che sarebbe stato un concerto molto importante. Importante e difficile, perchè non può, in nessun modo, anche per chi affollava la platea pur senza conoscere il nome dell’artista che avrebbe applaudito, tale la diffusione del fenomeno “accredito” come status symbol, non può, dicevo, essere archiviato nella memoria, come “un-bel-concerto- applausi-sipario-e- a-letto-che-domani-ci-si-sveglia-presto”. L’orchestra, vanto italiano, di un’Italia che delega l’arte ai privati perchè non possa morire, e se ne priva per il bene dell’arte stessa, è quella del Teatro Petruzzelli di Bari. A due anni esatti dalla sua riapertura, la Fondazione Petruzzelli, porta avanti con convinzione, senza mai far notizia, il mestiere di emozionare. Musicisti giovani e vestiti di bianco, in corredo con una nuvola eterea di carta di riso sospesa sul palco ad indicare forse la fragilità di una vita terrena, che non vuole canzoni ma solo parole. Eppure è di vita terrena che si sta parlando, tra le note di quegli strumenti lucidi, accordati con la voce di Antony Hegarty. Al suo ingresso un forte applauso. Poi il silenzio. E subito, in un sibilo, tutti erano uno, assorti, ciascuno nella propria emozione, legati l’uno all’altro eppure in mondi così distanti da poter percepire ciascuno uno spazio intorno sconfinato. Come se quella voce, che nel lampo inevitabile di lucidità di ciascuno deve essere stata vagliata in più aspetti (è un farsetto? è impostata? forse un inganno?), avesse spazzato via tutta la polvere depositata nel tempo, sul cuore impavido di chi non ha più voglia di intendere. Arcigno e calloso, lo spirito non è che un argomento di convincimento per pentiti in fase di giudizio, e spunto di conversazione per spettatori incuriositi da nuovi esperimenti di ricerca che diano un senso aritmetico all’esistenza della materia e dell’antimateria. Io credo che esista, se mi è concesso l’uso improprio del verbo, un’energia che unisce ogni parte e ogni sogno e ogni posto e ogni sguardo. E credo che l’aver dimenticato la musica, o averne siglato e sottoscritto la morte, anche da parte di chi come me ha sempre pensato fosse importante, sia stato un errore non di calcolo, nè di concetto, ma un errore di spirito. L’abbiamo smentita dalla nostra confessione professionale, perchè non più utile ai fini del calcolo, ed è stata un ammissione triste ma necessaria. Deve pur vivere questo corpo qui, no? Così ci siamo detti. Sempre a parlare di carriere e progetti. Ma se fosse che quella musica, così come quell’energia, è già essenza in sè, e non creazione, se fosse così, e se ci fosse anche solo un modo per vivere in quell’energia senza doverla circoscrivere ai pensieri ed emozioni di ciascuno, allora forse avremmo solo bisogno un messaggero. E incredibilmente, a differenza di come siamo abituati a interpretare il mondo, non conta cosa contiene quel messaggio, ma conta il messaggio in sè. Nel dismettere i panni da messaggero di uno spirito universale, l’uso delle parole è stato quantomai appropriato per un’Italia che da sola non conta nulla, e non fa neanche più sorridere. Ma fa sorridere che quella ricerca del femminino a cui Antony aspira e in cui crede, sia sempre mal interpretata da un “mondo-uomo”, che usa un “lessico-uomo” per cui una semplice “porta” chiusa, non reca danno, in virtù di un più importante “portone” aperto. “Non aspettate che qualcuno vi inviti, perchè possiate iniziare a cambiare il mondo, e farlo diventare una donna. Empatico come una donna, gentile come una donna. Protettivo come una donna.”.
Nel sentire Anthony cantare ieri sera, io credo che quel messaggio di energia (sostantivo femminile in ogni lingua), che non è soggetta alle nostre metriche e formule matematiche, in qualche modo, e non so in che modo, si sia diffuso nella sala. Qualcuno accanto a me dormiva, qualcuno scattava foto, altri piangevano, ognuno a modo suo era ammirato. Io ero immobile.
A chiedermi dove fossi finita per tutto questo tempo.
Barbara Venditti