Attesi al varco da detrattori invidiosi e gufi che non vedono l’ora di smorzare gli entusiasmi, gli Alt-J sembrano sbucare sereni e con le mani in tasca da dietro l’angolo e dire loro:”Ah eravate qui?”. L’attesa che precede l’uscita del secondo album firmato da una band “rivelazione di un qualunque anno x”, è vissuta dai fans con la stessa tensione emotiva raccontata in Hunger Of The Pine: un misto di dolore, desiderio e orgoglio. Ero anche io pronta a difenderli da chi ero certa avrebbe detto con spocchia “Lo sapevo io. Erano solo un fuoco di paglia”. I tre singoli avevano mostrato tre diversi aspetti di una band molto astuta: tracce sparse confondono anziché delineare un profilo. Hunger of The Pine aveva lasciato con un punto interrogativo. Un’evoluzione forse. Eppure una strada già battuta da altri prima di loro. Lineare, con un’incursione curiosa: “I’m a female rebel”. Miley Cyrus campionata per l’occasione. Esempio d’orgoglio femminista, o illusoria presa di posizione. In entrambi i casi perfetta per descrivere quell’istante di rabbia che fa sentire vincenti e degni di rispetto, durante quelle notti d’attesa e angoscia per l’amore perduto, mai avuto, sfuggito o solo sognato. Eppure qualcosa al tempo sembrava mancare ad Hunger Of The PIne. Poi Left Hand Free. E chi sono questi? Jack White e i suoi fratelli? Un’artifizio discografico o più uno sberleffo alla casa discografica che li avrebbe voluti più pimpanti al momento di presentare l’album? Qualcuno l’aveva sospettato, e pare che girassero voci a proposito di un pomeriggio passato in studio a cercare un modo per prendere in giro tutti: lovers and haters. Ma poi, con Every Other Freckle, i detrattori e gli scettici si sono chiusi nel riserbo di chi non rischia. Splendida. La voce di Newman, i controcanti, le chitarre, la ritmica, i synth, il flauto. A qualcuno vengono in mente un po’ i Fleet Foxes, ma è solo per un istante, e anche fosse un omaggio sarebbe un complimento per la band di Robin Pecknold. Gli Alt-J non sono uguali a nessun altro e il loro è un non-genere. Gioia e gaudio, siamo salvi, noi adepti del Delta più nerd che la musica ricordi da Smile di Brian Wilson. Noi. Sì, anche io. Non ho atteso nessun album come questo, nel 2014. E la grazia e allo stesso tempo la passionalità carnale di Every Other Freckle mi avevano convinto. Così ieri prendo il solito serio impegno con me stessa di quando ho un disco nuovo: mi siedo e lo ascolto dimenticandomi il tasto skip. E subito, già dalle prime due canzoni comprendo perché i tre singoli sembrava nascondessero qualcosa: è l’album che conta, non le singole canzoni. Mi godo i colori, il viaggio, le atmosfere fresche, poi un calore avvolgente. Il blu, un sapore di metallo e poi di frutta esotica. Un esperimento sinestetico perfettamente riuscito. Almeno su di me. Pare sia provato che la sinestesia è una condizione neurologica. Benigna. E io ce l’ho. Quindi sì, diciamo che su di me il disco degli Alt-J funziona. Passata l’euforia iniziale per l’esperienza sinestetica decido di concentrarmi sulle canzoni. Il concept: Il disco è un viaggio d’andata e ritorno per Nara, l’antica capitale nipponica buddista, in cui, ancora oggi i cervi sono venerati e liberi di girare indisturbati tra turisti, agenti di commercio e contadini. Insomma a Nara i cervi fanno un po’ come vogliono. Sentirsi come un cervo di Nara è sinonimo di libertà, felicità, beatitudine. Eppure l’arrivo a Nara è straziante. Preceduto da un intro gelido e duro, con un cantato che è strumento, come loro sanno fare bene, invita a riflettere sul fatto che qualcosa sta per succedere. Succede. Una donna annega e la sua voce sembra risuonare negli abissi. Lenta, melodica, acustica molto bella. Nara si svela. Non è sorprendente come nessuna delle altre canzoni in An Awesome Wave. Ma non m’arrendo. Sciolgo i nodi delle liriche. Me ne faccio un’idea. Un amore libero, che non sia giudicato, che sia come i Cervi a Nara. L’amore di un uomo per un uomo forse. Avanzo nei brani, stavolta più critica, tra pause, languide melodie, ritmi più serrati, perisno il rock blues di Left Hand Free, poi una specie di omaggio all’inghilterra, quasi un nuovo inno nazionale. Mi innamoro di nuovo di Hunger of the Pine. Ascolto tre volte la pastorale Warm Foothills. Ne resto incantata. Più voci, tra cui quella di Conor Oberst e Lianne La Havas, si mischiano come mai prima in una canzone, terminando ciascuno le parole dell’altro. Ed è qui che inizio ad avere un sospetto. La canzone mi ricorda qualcosa nel testo. Blue dragonflies. Libellule blu mentre Iris mi nuota accanto. Elegia per Iris, di John Bayley. Meraviglioso scritto di cui ho visto anche il film. Subito dopo The Gospel of John Hurt fa della coincidenza, un indizio e il sospetto cresce. John Hurt in un brano in cui ci si sente come un pezzetto di Tetris, sia nel testo che nell’incastro di voci e strumenti, ancora lenti, ma con cadenza regolare. Un alieno. Alien. E poi, mentre ascolto la bellissima Pusher, in cui, voce e chitarra, è presente una frase che meriterebbe un posto nella storia delle citazioni su facebook e cioè: “Se stai aspettando l’amore della tua vita, mettiti in fila”, mi viene in mente Robert Redford che dice a K-k-katy: “You push to much”. Non c’entra nulla,lo so, questo film proprio no. Ma il sospetto si fa più pressante. Torno di colpo ad Arrival in Nara. Eccola lì. La canzone descrive esattamente, parola per parola, la scena finale di Lezioni di Piano di Jane Campion. E in Hunger of The Pine, Miley Cyrus è.. Lady Chatterley! E in Left Hand Free c’è persino Neo, in un duello per amore che ricorda Matrix. Per non parlare delle Cronache di Narnia, raccontate in Nara. Gli Alt-J. Ma non erano quella band che voleva chiamarsi The Films ma ha dovuto rinunciare perchè esisteva già una band con questo nome? Forse mi sbaglio, ma ho il sospetto che questo disco sia un lungo indovinello cinematografico. In più, intendo dire. Non è quella la finalità, che è invece a mio avviso l’intenso esperimento sinestetico e che riguarda il disco nel complesso, nei confronti dei quali posso esprimere un giudizio più che positivo.
Un buon disco. Non è An Awesome Wave, ma del resto, quale altro disco lo è?
Barbara Venditti