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In marzo, con la primavera e la voglia di tornare a fiorire, Bruce Springsteen ricorda al mondo, e forse ancor prima a sè stesso che per rinascere bisogna prima morire e che per ricostruire bisogna prima buttar giù quel che rimane. Sono stati anni duri per l’America, per il mondo. Lo sono ancora e l’unica cosa che abbiamo potuto fare è aggrapparci a quello spiraglio di speranza che restava tra le crepe di un mondo in frantumi. Ecco perchè prima Magic e poi Working On A Dream erano inviti a continuare, a resistere a sperare in un domani che sarebbe arrivato presto. Ma ad un certo punto, bisogna pure dire basta. Basta. Adesso è il momento di arrabbiarsi, di abbattere quel che resta, di fare tabula rasa. Era nato come un disco folk questo manifesto di riscatto e urlo di ribellione. Lui e la sua chitarra, con la E-Street band un po’ in disparte. L’aveva fatto sospettare Little Steven che aveva detto durante un’intervista in radio “Forse il Boss sta pensando ad un disco da solista”. In effetti, presentando Wrecking Ball, aveva ammesso di aver bisogno di leccarsi un po’ le ferite, ritornando a scrivere cose che avessero quel sapore scuro di Nebraska. E invece, con un guizzo, l’impeto è stato quello di Born To Run. Almeno per il primo singolo, che anche se fa sospettare l’orgoglio di Born in The USA, denuncia e solleva questioni. Così anche le corde della sua chitarra non erano più sufficienti , da sole, alla festa della rivoluzione. E se in Working On A Dream la speranza del futuro poggiava sulle citazioni di quegli anni ’60 tanto importanti fino ieri per il futuro dell’America o del mondo (sempre più spesso sono la stessa cosa), oggi no. Oggi la radice è il folk irlandese, perchè solo con il recupero di ciò che non passa, delle basi vere, si distrugge quel che c’è stato nel mezzo per tornare ad una nuova primavera. Death To My Hometown. Questo è il senso. Le parole sono solo il movente, è la musica il delitto. E’ la musica che colpisce, che porta quel pugno allo stomaco che fa alzare in piedi negli stadi, così come in strada, applaudendo ad ogni nuovo modo di gridare, dalla danza irlandese, alla ballata d’amore, dal rock serrato al gospel, in un viaggio americano che comunque alla fine, non riesce a rinunciare quel sogno dei padri fondatori. La terra del sogno e delle speranze. Non lo sarà allo stesso modo in futuro forse, ma un po’ nel profondo per tutti noi, lo resterà sempre.
Best Album 2012 #6
Voto 7.8/10