… The love you make.
Citazione testuale: “Quarant’anni fa terminava una delle più emozionanti avventure discografiche del secolo passato. La fine, seguita dalla burla di sua maestà, diventò l’inizio di un nuovo capitolo che consacrò quattro ragazzi inglesi nell’Olimpo della Musica.” (A. Ghè da seaweeds.splinder.com).
Anche il nostro autore, attento conoscitore di “Scarafaggi”, guarda all’ultimo atto dell’avventura beatlesiana come alla volontà di lasciare in eredità la “quadratura dei conti”. Sì, certo, poi c’era stato Let It Be, ma la registrazione era stata precedente, e inoltre quella “Her Majesty” che seguiva The End non era stata pensata in chiusura di Abbey Road inizialmente. Insomma, se c’era una cosa che avrebbero voluto dire alla fine di tutto era proprio quella. Chi ha dato ha dato, chi ha avuto avuto… Ma, a guardar bene, alla fine, l’amore che torna è uguale a quello che dai. Il resto è fuffa. Ora, Sir Paul se l’è studiata bene la lezione, per questo continua a dare, senza preoccuparsi di quanto ciò sia conveniente in termini di amore ricevuto in cambio. Lo amiamo Paul, lo abbiamo amato in ogni cosa che ha fatto. Dischi film, canzoni, concerti, esperimenti, opere rock e opere classiche, format radiofocnici e format televisivi, progetti pop, rock, folk, electro, acustic, conduzione di programmi su radio rock … insomma, tutto. Forse solo una cosa non gli abbiamo perdonato. Ma a riascoltarla adesso fa quasi sorridere, perchè è chiaro che non aveva idea di cosa avrebbe provocato quella strofa ripetuta. I will fight for the right to live in freedom. Combatterò per il diritto di vivere in libertà? Mmh.. combatterò… Detto da uno che ci ha cresciuti a pane e “all you need is love”, suona un po’ stridente. Non l’aveva più voluta suonare Paul, negli anni successivi, per aver, utilizzato quell’immagine nell’ esprimere il suo senso di smarrimento davanti ai fatti dell’undici settembre. Certo, il fatto che quella canzone, potesse essere considerata l’apoteosi del pro-americanesimo, l’invito alla guerra, nonché il velato appoggio, secondo qualcuno, alla politica imperialista di Bush, era una lontana ipotesi, ma comunque un’ipotesi. Passa il tempo e uno dimentica, o almeno ci prova. Quindi sarebbe cosa buona e giusta dimenticare l’impulsività di Freedom e godere del documentario, di cui solo ora sappiamo l’esistenza, che ritrae Paul nei suoi giorni di New York, immediatamente prima e durante l’11 settembre. Era a New York quel giorno e dal suo aereo che, non aveva potuto decollare, aveva visto le torri in fiamme. Paura, sgomento, rabbia. Ecco perchè aveva scritto Freedom. Poi però, una volta tornato in città, aveva avuto occasione di testare da vicino la distruzione, la tristezza e le reazioni di una città in ginocchio. Dieci anni dopo, ecco tornare i conti. The Love We Make. Il documentario ritrae Paul in quella New York appena colpita, alle prese con un nuovo progetto: portare amore dove c’era stato solo odio e dolore. Il film, girato da Albert Maysles, lo stesso che documentò la prima visita dei Beatles nelgi USA, lo vede per le strade di New York dopo la tragedia ma anche il dietro le quinte della preparazione e l’organizzazione del “Concert for New York City“, svoltosi al Madison Square Garden sei settimane dopo gli attacchi. Disse così dal palco del concerto: “C’era nell’aria un senso di shock e di paura, così ho pensato che avremmo potuto aiutato ad alleviare tutto questo con la musica. E il fatto che così tante persone si siano unite a noi è stato davvero ammirevole”. Nel documentario tra le riprese totalmente inedite, compaiono le interviste ad alcuni dei presenti nel backstage del concerto tra cui: David Bowie, Steve Buscemi, Eric Clapton, Bill Clinton, Sheryl Crow, Leonardo DiCaprio, Harrison Ford, Mick Jagger, Jay Z, Billy Joel, Elton John, Stella McCartney, il governatore George Pataki, Keith Richards, James Taylor, Pete Townsend. Torna l’equazione dunque? The love you take is equal to… The Love We Make.
In anteprima domani su Showtime, e presto anche nelle nostre case piene d’amore.
Che i complottisti si trattengano da qualunque illazione, assicurandosi che Paul non fosse scalzo nelle riprese, e che si uniscano anche loro nel dire: Ammore Ammore Ammore. (love love love)