Senza dubbio, anche se adesso è molto più di moda essere un nome piccolo e non essere definito “mainstream, , esistono nella storia della musica, i cosìddetti “Grandi Nomi”. Sono grandi non solo perché sono famosi, né perché la loro biografia su Wikipedia è divisa in paragrafi, ma spesso lo sono perché hanno fatto un sacco di dischi. Se ne hanno fatti meno di dieci, sono morti giovani intorno ai 27 anni, e comunque son tanti in proporzione agli anni di attività. Poi magari hanno cambiato stile almeno tre o quattro volte. Questo rende la conoscenza molto faticosa. Quindi per affermare << I Pink Floyd ora li so>>, o te li ascolti in ogni loro disco dall’inizio alla fine, almeno nove/dieci volte, oppure ti affidi ai giudizi di quelli che l’hanno già fatto, andando diretti ai quei titoli che sai già che non potranno non piacerti. Se pigli l’abitudine a fare così però poi finisce che scegli la via del Bignami anche quando la cosa è facile. Prendi i Doors, ad esempio, hanno fatto cinque dischi in tutto, ma tutti sono d’accordo nella superiorità sugli altri del primo e sulla maturità e bellezza di Strange Days. Ecco il mio problema: a me piace Morrison Hotel. La via del Bignami mi avrebbe impedito di scoprirlo. Vorrei dire che conosco a memoria l’intera discografia di Van The Man, ma sarebbe una bugia. Tuttavia, sono certa del fatto che, anche se potessi dire <> continuerebbe comunque a piacermi un suo disco che non ha avuto un grande “successo di critica”. Anzi, è proprio snobbato. Non sta neanche su iTunes. Datato 2003, prima volta con la Blue Note: What’s Wrong With This PIcture?. Non è una domanda, ma il titolo. Poi mi piace perchè la recensione se la fa lui stesso in Goldfish Bowl: Jazz, blues e funk, non è rock and roll. Folk con ritmo e un po’ di soul . Non sto promuovendo un disco di successo, e non ho uno show in televisione.Dunque non ho motivo di starmene in questa boccia di pesci rossi.
Dice proprio così. E infatti andava a braccetto con la Blue Note, che invece al tempo aveva deciso di infilarci chiunque di successo nella su garbata vasca di pesci. Ma a me non importa della Blue Note, e neanche del rock’n’roll. Mi piace quel disco perchè lo vivo ogni volta come fosse un anno intero, che inizia più o meno a febbraio. Apre sotto la neve, con la title track; diventa speranzoso come il Jazz in una sera di marzo con Whinin’ Boy Moan; guarda alla brezza di giugno con allegria in Evening in June, passando poi ai pomeriggi caldi e malinconici di Somerset. Poi arrivano i ricordi, che sono quelli dell’autunno, e allora si torna ai ’50, rockabilly e soul fanno scorrere le immagini fino ad arrivare a novembre, quando succedono le cose importanti, come il Blues. Saint James Infirmary. Poi tutto passa, e allora c’è anche tempo per un sorriso e un inchino, alla maniera di Sam Cook. Tutto ricomincia. E titoli di coda.
Buon compleanno Van The Man.
Barbara Venditti